Silent City Driver si rivela un viaggio ipnotico nelle ombre di Ulaanbaatar, seguendo il percorso di redenzione di Myagmar (interpretato dal ballerino Amartuvshin Tuvshinbayar). Ex detenuto condannato a 14 anni per un omicidio involontario, egli viene liberato ma resta prigioniero del proprio passato, che ricorrentemente lo assilla, tormenta.
La sua nuova vita come autista in un’agenzia funebre lo porta a confrontarsi quotidianamente con la morte e la solitudine, ma apre anche la via a incontri inaspettati: un monaco buddhista, una giovane prostituta vittima della malavita (Narantsetseg Ganbaatar, che impersona Saruul, nome che coincide con la ragazza protagonista in The Sales Girl, già da noi recensito in occasione del FEFF25) e persino cani randagi, unici fedeli compagni in una vita vissuta ai margini.

Tecnicamente e stilisticamente ottimo.
Janchivdorj Sengedorj, già per l’appunto acclamato per opere già da noi note come The Sales Girl (2021), conferma la sua abilità nel delineare personaggi spezzati, sospesi tra realtà e spiritualità, riuscendoci perfettamente.

La fotografia di Enkhbayar Enkhtur gioca magistralmente con contrasti visivi: i toni grigi e desaturati delle riprese diurne riflettono la desolazione interiore del protagonista, mentre le luci al neon della notte mongola creano un’atmosfera claustrofobica e quasi metafisica.
La colonna sonora, dominata dal ricorrente motivo di Comme un boomerang di Serge Gainsbourg, amplifica il senso inesorabile di un passato che ritorna come un destino scritto.
Performance e caratterizzazione di Silent City Driver.
Amartuvshin Tuvshinbayar, che proviene dal mondo della danza e si cimenta per la prima volta nel cinema, offre un’interpretazione magnetica e ipnotica. Il suo volto scolpito, segnato da silenzi carichi d’angoscia, diventa il vero perno della pellicola.
La regia predilige intensi primi piani, in cui ogni sguardo e gesto supera persino il dialogo, dando vita a un ritmo meditativo che enfatizza la complessità psicologica del personaggio.
Colpa, redenzione e isolamento sociale sono le tematiche che virano.
Il film affronta tematiche universali quali la colpa, la redenzione e l’isolamento sociale, ambientandole in un autentico contesto mongolo. Myagmar si trasforma nel simbolo di chi cerca di riconquistare un posto in una società che lo respinge, mentre l’ambientazione, che oscilla tra il mondo funebre e l’underworld criminale, sottolinea il delicato legame tra vita, morte e marginalità.
I riferimenti al buddhismo, attraverso dialoghi filosofici sul karma e la ricerca della pace interiore, aggiungono una dimensione spirituale alla narrazione.
L’impatto culturale.
Prima di approdare al FEFF27, Silent City Driver ha ottenuto straordinari riconoscimenti, trionfando al Tallinn Black Nights Film Festival (Estonia) dove ha riscosso il Gran Premio della Giuria e il premio per la Miglior Scenografia. Questi successi consolidano la Mongolia come voce emergente nel panorama del cinema d’autore internazionale.
Inoltre, la pellicola si configura non solo come un thriller esistenziale, ma anche come un ritratto crudo e poetico di Ulaanbaatar, città che, con la sua contrapposizione di tradizione e modernità, diventa co-protagonista attraverso paesaggi urbani sospesi tra poesia e desolazione.
La lunghezza delle scene potrebbe far storcere il naso, ma è un valore aggiunto.
Nonostante la sua maestria artistica, la durata del film (137 minuti) potrebbe risultare impegnativa per chi predilige ritmi più serrati. Tuttavia, ogni inquadratura è essenziale per cimentare un’immersione emotiva totale, culminando in un finale devastante e catartico, degno dei grandi romanzi russi, del quale chiaramente non facciamo alcun spoiler.
Silent City Driver è un film necessario, che unisce impegno sociale e profondità artistica. Janchivdorj Sengedorj conferma la sua capacità di trasformare storie personali in epopee universali, mentre Tuvshinbayar si rivela una delle rivelazioni attoriali dell’anno. Un’esperienza cinematografica che lascia un segno, soprattutto per chi apprezza il cinema d’autore che abbia il coraggio di uscire fuori dagli schemi.