In questo editoriale parleremo di fallimenti videoludici e non solo. Si può esordire dicendo che verrà toccato mezzo chicco di riso rispetto a tutti i vari fallimenti veri e propri nella Storia, cercando di toccarne uno più recente e via via i più salienti.

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PlayStation Portal e la sua direzione dubbia.

Recentemente ha visto la luce nel commercio PlayStation Portal, il companion targato Sony, per poter giocare con la propria console senza disporre forzatamente di uno schermo e senza fili. Inizialmente, l’idea da parte del pubblico è stata ben accolta, per compensare magari le nonnine che vogliono guardarsi il telegiornale e non vogliono avere il pargolo o il nipotino di turno che scombina loro la routine. L’idea di base c’è, soprattutto vista la recente tendenza da parte di un po’ tutti di seguire la moda della Nintendo Switch, e del suo concept di “play anywhere”… anche durante un appuntamento al bagno.

All’uscita, però, qualcosa ha fatto storcere il naso e no, non è il DualSense tagliato a metà, ma una concezione di vera e propria usabilità. Il prodotto si ferma all’essere un mero screen-extender che si rivela scarsamente ottimizzato per l’unico uso che fa. Ad esempio, generose latenze. Accettabili se vogliamo in un single-player, in un multi-player la fluidità e la reattività sono cruciali.

E se il problema lato connessione non basta, aggiungiamoci cali visivi e prestazionali che in un hardware ottimizzato per quell’uso possiamo accettare in titoli richiestivi, ma non in titoli tutto sommato normoesigenti. Condiamoci il prezzo di 199 euro, e cosa ci rimane? Una piattaforma che è uno schermo aggiuntivo, che non ha un cervello tutto suo, ed è un mero corpo che dipende dalla console PlayStation 5. E parlando di ecosistema… volete usare le cuffiette? Benissimo, potete usare solo quelle wireless della serie PlayStation, non altre magari sempre Sony.

Tutto questo preambolo, per portarvi all’articolo di oggi, che vuole ripercorrere alcune macro-tappe che narrano vari progetti ambiziosi delle aziende, che poi dopo non sono state correttamente curate e quindi rivelatisi fallimenti.

Google Stadia: Cloud Gaming, ora nel sottosuolo.

Google Stadia era una piattaforma di cloud gaming che consentiva di giocare in streaming da qualsiasi dispositivo, senza bisogno di console o PC potenti. Google lanciò il servizio nel 2019, con l’obiettivo di rivoluzionare il mondo del gaming.

Tuttavia, il progetto si rivelò fallimentare, a causa di diversi fattori. Innanzitutto, la comunicazione di Google fu confusa e ingannevole, creando false aspettative sui giochi disponibili, le funzionalità e la qualità dello streaming.

Inoltre, Google rinunciò a produrre giochi esclusivi per Stadia, perdendo così un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti come Sony, Microsoft e Nintendo. Infine, Google non riuscì a soddisfare le esigenze e le richieste dei giocatori, che preferirono altre soluzioni più affidabili e convenienti. Nel febbraio del 2021, Google annunciò la chiusura dei suoi studi interni di sviluppo giochi per Stadia, segnando la fine delle sue ambizioni nel settore. La chiusura definitiva del servizio fu comunicata il 29 settembre 2022 e avvenne il 18 gennaio 2023.

Google Glass: un progetto futuristico costoso e fallimentare.

I capi di Google hanno presentato i Google Glass nel 2012 come un prodotto rivoluzionario che avrebbe cambiato il modo in cui le persone interagiscono con la tecnologia. Tuttavia, il prodotto non ha avuto successo e Google ha interrotto la produzione dei Google Glass nel 2015.

Ci sono state diverse ragioni per il fallimento dei Google Glass. In primo luogo, il prezzo elevato del prodotto lo ha reso inaccessibile alla maggior parte dei consumatori. Inoltre, c’erano preoccupazioni sulla sicurezza e la privacy, poiché i Google Glass potevano essere utilizzati per registrare video e scattare foto senza il consenso delle persone coinvolte. Inoltre, il prodotto non era molto funzionale e non aveva molte applicazioni pratiche.

In generale, i Google Glass sono stati un esempio di come un prodotto tecnologico innovativo possa fallire se non soddisfa le esigenze dei consumatori o se non è abbastanza funzionale per giustificare il prezzo elevato.

Digressione. Google Plus, Google Jamboard, Google Hangouts: il trio dei perduti.

Tra i vari progetti lanciati da Google nel corso degli anni, alcuni hanno avuto successo, mentre altri sono stati meno fortunati. Di seguito, presenterò una panoramica della nascita, crescita e declino di Google Plus, Hangouts e Google Jamboard. Tra l’altro, Google ha la fama di chiudere numerosi progetti, ad oggi ne contiamo addirittura 293. Dopo fatevi un giro in Google Graveyard.

Google Plus è nato nel 2011 come una piattaforma di social media che si proponeva di sfidare Facebook. Tuttavia, non è mai riuscito a conquistare la stessa popolarità di Facebook e ha affrontato una serie di problemi di sicurezza dei dati. Nel 2018, Google ha annunciato che avrebbe chiuso Google Plus a causa di questi problemi.

Hangouts è nato nel 2013 come un’applicazione di messaggistica istantanea e videoconferenza. Inizialmente, ha avuto un certo successo, ma ha subito una serie di cambiamenti e ristrutturazioni che hanno portato alla sua graduale sostituzione da parte di Google Meet.

Google Jamboard è nato nel 2017 come una lavagna digitale interattiva per le aziende e per gli studenti. Ha ricevuto recensioni positive per la sua facilità d’uso e la sua capacità di migliorare la collaborazione tra i membri del team. Tuttavia, il suo costo di manutenzione elevato lo ha reso inaccessibile. Nel 2021, Google ha annunciato che avrebbe interrotto il supporto per l’app Jamboard per dispositivi mobili e desktop.

In generale, i punti di forza dei progetti di Google includono la loro innovazione, la loro facilità d’uso e la loro capacità di migliorare la collaborazione e la produttività. Tuttavia, i loro punti deboli includono la loro vulnerabilità alla concorrenza, la loro dipendenza dalle tendenze del mercato e la loro tendenza a subire cambiamenti frequenti e ristrutturazioni.

PlayStation: PS Move e PS Vita.

La PS Vita, l’ultima console portatile di Sony, ha terminato ufficialmente la sua esistenza commerciale nel 2019. La console non ha mai ottenuto la celebrità delle sue consorelle domestiche e ha patito molto la mancanza di interesse da parte degli sviluppatori più importanti, che superato il periodo di fervore iniziale hanno cessato di produrre titoli tripla A per la console portatile di Sony. Così PS Vita è diventata una piattaforma quasi solamente dedicata ai titoli indie, che però non erano ancora riusciti a conquistare la fascia mainstream di pubblico.

Per quanto concerne il PS Move, è stato mostrato all’E3 2008 e successivamente alla Game Developers Conference del 2010, dove è stato confermato il nome, ma il progetto e lo sviluppo della periferica iniziarono già nel 2002. Malgrado il successo iniziale, il PS Move non è riuscito a conservare la sua popolarità e ha perso posizione rispetto ad altre periferiche analoghe come il Telecomando Wii della Nintendo e il Microsoft Kinect della Microsoft.

La PS Vita è stata lanciata come successore della PSP nel 2011, ma non ha mai raggiunto la stessa popolarità della sua antesignana. La console portatile di Sony era effettivamente interessante, sia in termini di hardware che di software, ma è arrivata sul mercato in un momento in cui gli smartphone hanno iniziato a offrire un divertimento portatile simile e sempre accessibile nelle tasche degli utenti.

Il risultato sono state vendite estremamente deludenti, con un totale di PS Vita vendute in tutto il mondo pari a 16,1 milioni di unità. Poche per una console, soprattutto se confrontato con il successo della PSP e della (se lo fosse stata all’epoca) concorrente Nintendo Switch. Ma anche con il suo diretto avversario, il Nintendo 3DS che negli anni ha venduto 74,84 milioni di unità.

Il PS Move è stato sviluppato per la prima volta nel 2002, ma è stato presentato al pubblico solo nel 2010. La periferica ha avuto un buon successo iniziale, ma non è riuscita a mantenere la sua popolarità e ha perso terreno rispetto ad altre periferiche analoghe come il Telecomando Wii della Nintendo e il Microsoft Kinect della Microsoft. Il PS Move è stato utilizzato in molti giochi, tra cui il gioco di avventura “Sorcery” e il gioco di combattimento “The Fight: Lights Out”.

Virtual Boy e Wii U: tra i più grandi fallimenti di Nintendo.

Tra le molte console di successo realizzate da Nintendo, ce ne sono alcune che non hanno avuto lo stesso impatto sul mercato. Due esempi sono il Virtual Boy e il Wii U. Lanciata nel 1995, la console stereoscopica Virtual Boy è stata un fiasco totale per Nintendo, tanto da essere ritirata dal mercato nello stesso anno solare.

Secondo i dati forniti dall’azienda giapponese a Famitsu nel lontano 1996, sono stati venduti solo 770.000 Virtual Boy in tutto il mondo, un risultato inferiore persino a quello del notorio N-Gage. La console era enorme e ridicola, la grafica incredibilmente arretrata e i costi esorbitanti, sia per la potenza di calcolo che per il prezzo di vendita.

Un altro flop per Nintendo è stato il Wii U, una console bocciata per la sua mancanza di innovazione, il suo design scomodo e la sua scarsa offerta di giochi di terze parti. Il Wii U ha venduto appena 13 milioni di unità, diventando il più grande fallimento di Nintendo dal Virtual Boy, che ne aveva vendute meno di un milione. Speriamo che Nintendo continui a stupirci con console di successo come la Nintendo Switch!

Apple Pippin: un’innovazione prima del suo tempo.

Nel 1996, Apple lanciò sul mercato una console di videogiochi chiamata Pippin, in collaborazione con la società giapponese Bandai. Il prodotto era molto avanzato per il suo tempo, con caratteristiche che la distinguevano dalle altre console. Tuttavia, la Pippin non riuscì a imporsi sul mercato e fu presto dimenticata. Quali erano le sue peculiarità e quali furono i motivi del suo insuccesso?

Era basata su un processore PowerPC 603e a 66 MHz, lo stesso usato dai computer Macintosh dell’epoca. Il sistema operativo era una versione modificata del Mac OS System 7.5.2, che permetteva di eseguire applicazioni compatibili con il Mac. Corredata anche di una porta Ethernet e di un modem da 14,4k, che le consentivano di connettersi a Internet e di accedere a servizi online come il World Wide Web e l’email. Inoltre, era in grado di supportare vari tipi di periferiche, come tastiere, mouse, tavolette grafiche e stampanti. La console aveva un design uniforme per tutte le regioni, con un alimentatore universale e una uscita video compatibile con i formati NTSC, PAL e VGA.

La Pippin era venduta con un gamepad chiamato AppleJack (e no, non è il My Little Pony), che aveva una trackball al centro e quattro pulsanti. Il gamepad poteva essere usato anche come mouse o come telecomando. Tra gli accessori opzionali c’era una tastiera con una tavoletta grafica integrata, che permetteva di disegnare e scrivere direttamente sullo schermo. La console aveva anche delle funzionalità di networking e di gioco in rete, sebbene limitate.

Nonostante il suo hardware innovativo, soffriva di una grave mancanza di software. La libreria di giochi era molto limitata e molti dei giochi erano semplici conversioni di titoli già disponibili per il Mac o per altre console. Inoltre, molti dei giochi non sfruttavano appieno le sue potenzialità, come la connessione Internet o le periferiche opzionali. Tra i giochi più noti per la Pippin c’erano Myst, Marathon, The Journeyman Project e Gundam 0079: The War for Earth.

La Pippin non aveva il supporto dei principali sviluppatori di giochi, che preferivano concentrarsi su console più popolari e redditizie. Inoltre, la Pippin era difficile da programmare, a causa della sua architettura complessa e della scarsa documentazione fornita da Apple. Non aveva nemmeno un kit di sviluppo ufficiale, ma solo un software chiamato Pippin ToolKit, che richiedeva un Macintosh per funzionare.

Un altro motivo del fallimento della Pippin fu il marketing inefficace di Apple e Bandai. Non aveva una chiara identità di mercato: non era né una console tradizionale né un computer, ma una sorta di ibrido tra i due. Questo creava confusione tra i potenziali acquirenti, che non capivano bene cosa fosse e a cosa servisse.

Inoltre, la Pippin non aveva una strategia di distribuzione efficace: la console era venduta solo in alcuni negozi selezionati e non era pubblicizzata adeguatamente. Era anche in competizione con altre console più famose e meno costose, come la PlayStation, la Nintendo 64 e il Sega Saturn.

Infine, soffriva della scarsa reputazione di Apple nel campo dei videogiochi. Apple era vista come una società che si occupava principalmente di computer e non di console, e che non aveva una grande esperienza nel settore. La Pippin era quindi vista come un prodotto marginale e non come una vera sfida alle altre console.

La Pippin fu un prodotto molto speciale, che anticipò alcune delle caratteristiche che sarebbero diventate comuni nelle console successive, come la connessione Internet, il supporto per le periferiche e la compatibilità con il Mac OS. Tuttavia, non riuscì a imporsi sul mercato, a causa del suo prezzo elevato, della sua libreria di giochi scarsa e del suo marketing inefficace. Fu quindi un fallimento commerciale, ma anche una testimonianza della visione innovativa di Apple nel campo dei videogiochi.

Fallimenti videoludici e non solo, le conclusioni.

Questi sono solo alcuni esempi di progetti ambiziosi delle aziende che si sono rivelati fallimenti. Ad esempio Google, che ha lanciato e chiuso numerose iniziative nel campo del social media, della comunicazione e del gaming. Questi casi mostrano come non basti avere una buona idea o una grande reputazione per avere successo in un mercato competitivo e in continua evoluzione. Occorre anche saper ascoltare i bisogni e le preferenze dei consumatori, offrire un valore aggiunto rispetto ai concorrenti e garantire la qualità e la sicurezza dei propri prodotti e servizi. Altrimenti, si rischia di perdere la fiducia e la fedeltà dei clienti e di essere dimenticati dalla storia.

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