In quegli anni la Sierra appare sempre più interessata ad esplorare nuove forme d’intrattenimento interattivo e pur non rinnegando mai totalmente la tradizionale formula dell’avventura punta e clicca ne prenderà progressivamente le distanze. La LucasArts, invece, non seguirà mai la sua avversaria sugli impervi territori del “film interattivo” (in quegli anni inteso come una successione di lunghi filmati realizzati con la tecnologia del full motion video). Non che la LucasArts fosse insensibile a questo tipo di tecnologia; essa stessa la utilizzò, infatti, per action game e sparatutto legati al franchise di Star Wars come i due Rebel Assault e Jedi Knight: Dark Forces II (con ogni probabilità si trattava di tentativi di creare un immediato “appeal” cinematografico che facesse di questi giochi delle dirette prosecuzioni dei film della saga).

Per quel che invece riguarda le avventure grafiche, LucasArts non cercò mai il realismo del filmato in “live action”, preferendo la stilizzazione cartoonesca. Ne è ulteriore prova il terzo capitolo di Monkey Island, ovvero: The Curse of Monkey Island. La saga, ormai orfana del suo ideatore Ron Gilbert, che aveva abbandonato la Lucas nel 1992 per mettersi in proprio, passa nelle mani di Jonathan Ackley e Larry Ahern i quali svolsero un compitino corretto e sufficientemente divertente ma lontano dalla grandezza dei due capitoli precedenti. Alla sapiente commistione tra esilarante nonsense e gusto gotico viene sostituita una comicità “normalizzata”, ripulita dagli eccessi (splendidamente) demenziali dei primi due episodi. Più che ai lavori di Gilbert, The Curse of Monkey Island assomigliava ad un innocuo prodotto disneyano e gli splendidi disegni di Bill Tiller, il cui stile morbido e vivace sembrava ricalcare le illustrazioni di un raffinato libro di fiabe, rafforzavano tale impressione. Sul piano del gameplay, invece, il gioco si dimostrava degno dei suoi precursori, con una difficoltà ben calibrata ove venne reinserita la possibilità di scegliere tra un livello “facile” o “normale”, locazioni ampie ed enigmi sempre stimolanti.

Grim Fandango, uscito nel 1998, pur non rappresentando, come molti sostengono, il canto del cigno dell’intera categoria degli adventure, lo è stato certamente per la storia della LucasArts come software house che aveva sin qui legato il proprio marchio alla qualità delle sue avventure grafiche. Un timido ritorno al genere che aveva reso famosa la gloriosa compagnia californiana avverrà nel 2000 con Fuga da Monkey Island: un tentativo largamente dimenticabile di rilanciare la serie ideata da Gilbert.
Il titolo creato da Tim Schafer abbandonava totalmente l’interfaccia punta e clicca e abbracciava il 3D. I personaggi erano modelli poligonali che si guidavano solo tramite tastiera in ambienti prerenderizzati. L’angolazione fissa cambiava, con effetto fortemente cinematografico, non appena ci spostavamo ai margini dell’inquadratura (come avveniva in Alone in the Dark). L’inventario veniva semplificato ed era lo sguardo di Manny, il protagonista, a guidarci verso gli hotspot.

Cadendo il filtro dell’interfaccia, che si faceva “invisibile”, l’interazione diventava assai più naturale (anche se non necessariamente più comoda), favorendo il processo d’immedesimazione nei panni del nostro alter ego. Il racconto attingeva a piene mani da capolavori del cinema anni ’40: Casablanca innanzi tutto, ma anche La fiamma del peccato. L’umore che si respirava era decisamente “noir”, sia nelle atmosfere che nei dialoghi da manuale: secchi ed efficaci. La qualità della scrittura di Tim Schafer era già allora altissima e la sceneggiatura riusciva a sfumare con disinvoltura dai toni comici a quelli malinconici, dalla drammaticità alla leggerezza. All’indimenticabile galleria di personaggi, tratteggiati con ammirevole arguzia ed umanità, si affiancava il ritratto d’un protagonista dal passato non privo d’ombre che decideva di cogliere l’occasione per fare “la cosa giusta” e riscattarsi, almeno in parte, dalle sue colpe.

Il gioco era arricchito da un impianto grafico folgorante non tanto per tecnica quanto per stile, accumulando suggestioni che andavano dal folclore messicano all’art decò, dalla pop art all’iconografia azteca. Tra trovate geniali, colpi di scena e situazioni spassose, Tim Schafer suggella quel capolavoro narrativo a cui Ron Gilbert ambiva sin dai tempi del primo Monkey Island, chiudendo nel migliore dei modi la “stagione d’oro” delle avventure grafiche. La pubblicazione di Grim Fandango non venne immediatamente salutata dal successo e, nonostante negli anni successivi gli incassi avrebbero largamente ripagato i costi di sviluppo, il gioco fu considerato un flop. Ciò scoraggiò la LucasArts ad impegnarsi in altri progetti ad alto rischio economico come ormai venivano considerati gli adventure classici.

Il pubblico era cambiato. L’avvento dei giochi d’azione in 3D (come Tomb Raider) stava ormai modificando i gusti dei giocatori che cominciavano a non mostrare lo stesso interesse d’un tempo per la riflessività ed i ritmi lenti propri delle avventure grafiche. Anche la Sierra cominciava a nutrire più di un dubbio sullo stato di salute di questo genere (almeno nelle forme tradizionali dell’avventura punta e clicca); lo prova la brusca virata impressa alla saga di King’s Quest che, in occasione del suo ottavo ed ultimo episodio, finì per abbracciare la forma dell’action RPG.
Non è esagerato sostenere che esista un prima ed un dopo Grim Fandango: un titolo che si configura come spartiacque tra il vecchio ed il nuovo. Dopo il titolo di Schafer, infatti, il genere degli adventure non sarà mai più lo stesso. In conclusione però, c’è da dire che come dissi all’inizio, ogni volta che i punta e clicca vengono dichiarati morti, puntualmente veniamo smentiti. Oltre alle varie versioni PC, molte software house hanno abbracciato a piene mani la Nintendo Switch. La console ibrida della grande N, sembra abbia dato nuova linfa vitale e nuove primavere a questo genere e i vari Thimbleweed Park del buon Ron Gilbert o The Guardrobe oltre ai vari remastered di grandi classici, tengono in vita e credo per molto tempo ancora un genere che ha fatto la storia e che conta ancora tantissimi appassionati
Grim Fandango era bellissimo! E pure difficile, mi ricordo che, a suo tempo, mi bloccai alla scena del dialogo del rivoluzionario per giorni 😅
Vero! Ma come tutti i titoli LucasArts era difficile, ma non frustrante