Love Exposure sarà il capolavoro di questo secolo?

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La prima domanda che ci si pone ai titoli di coda di Love Exposure è quasi sempre la stessa: Perché, dopo ormai quasi quindici anni, non se ne sente ancora parlare abbastanza?

E’ un film che, infatti, soprattutto in Italia, purtroppo ha preso vita solo grazie ad un frammentato passaparola, il quale ha consentito comunque di riconoscerlo, almeno per una nicchia, come il capolavoro degli anni 2000.

Sion Sono non è un cineasta, per fortuna. Comincia di fatto giovanissimo come poeta, ma prende subito dopo la strada del cinema scegliendolo semplicemente come mezzo prediletto per raccontarsi. Le sue tematiche vorticano attorno ad un Giappone che ha dimenticato come ci si relaziona e Sion Sono sa bene che da questa premessa nascono le tragedie, nasce la violenza ma soprattutto, la passione. E lui ha voglia raccontarle.

Love Exposure è il fiume dal quale si diramano queste argomentazioni.

DI COSA PARLA LOVE EXPOSURE?

Nelle quattro ore di pellicola – inizialmente ne erano previste addirittura sei, poi condensate per ovvi motivi distributivi – seguiamo la crescita di questo ragazzo: “Yu”, orfano di madre dall’età di 6 anni, attraverso le sue progressive consapevolezze sessuali, sentimentali e religiose. 

Il padre, fervente cattolico che prenderà la strada del sacerdozio, ricoprirà un ruolo importante nei suoi conflitti relazionali, infatti, Yu, per ritagliarsi una fetta del suo amore, comincerà a commettere “atti impuri” come fotografare sotto la gonna le mutandine delle ragazze (pratica conosciuta in Giappone come tosatsu), per poi potersi confessare con lo stesso padre e venire quindi insultato o picchiato. 

Da queste contraddizioni nasce l’intreccio della trama, che, in cinque capitoli, esplorerà altri personaggi magnifici, come Yoko, la sua “vergine Maria” o Koike, l’apparente antagonista, carattere più tragico di tutto il film.

IL GIAPPONE CHE NON SA AMARE

Sion Sono percepisce un Giappone molto solo, le persone temono il confronto, hanno perso tutti i valori che non funzionano più, ma che allo stesso tempo non sono stati sostituiti da altri, funzionali per la contemporaneità. Il Giapponese quindi non sa amare, perché fondamentalmente evita lo scontro. 

La caoticità di emozioni che ne viene fuori quindi, somiglia molto al percorso formativo di un adolescente, che vedendo le sue sicurezze cedere, reagisce con l’istinto. Qui, per Sion Sono, è dove si trova il Giapponese nel ventunesimo secolo, ma non è difficile trovare assonanze con la condizione occidentale contemporanea.

Yu è il catalizzatore, un po’ profeta, di tutto questo. Ha bisogno di dare e ricevere amore per esistere, per affermarsi come individuo, ma parte, da questo punto di vista, molto svantaggiato. 

Durante la strada verso il paradiso dovrà perdere la fede, le persone vicine, la propria identità sessuale e addirittura la propria sanità mentale.

CHIESA ZERO

Nei dubbi esistenziali di Yu ci si infila Koike, che ha come obiettivo quello di sfruttare le fragilità della famiglia del nostro protagonista per convertirla alla sua chiesa zero, che è una sorta di setta con l’aspetto e la struttura di Scientology. 

E’ chiaro anche ad una prima visione, come questo elemento sia cardine per la lettura del film. La chiesa zero non è  altro che tutte quelle distrazioni che hanno sostituito la spiritualità, prima nello scorso secolo e ancor più compulsivamente nel nostro. La chiesa Zero infatti cambia subito il baricentro della narrazione. Da questo momento in poi infatti Yu ha il compito di recuperare la sua famiglia, che, è stata plagiata dalla chiesa-setta di Koike. 

Ma perché Yu si salva dal loro lavaggio di cervello? 

ESPOSIZIONE D’AMORE

Yu, rispetto alla sua famiglia o agli altri personaggi non è toccato dalle influenze di comportamento che impone la società. Forse perché non ha avuto un’educazione da parte dei genitori, forse perché è un ingenuo, ma è di fatto una persona pura. 

Il titolo si riferisce alle mutandine fotografate dal protagonista, e non è quella del regista, una semplice provocazione. E’ proprio questo atto violento di desiderare e prendere che ci conferma che il protagonista insegue l’amore nella sua forma più primitiva, senza sovrastrutture. All’altro polo invece c’è Koike, che è incondizionatamente malvagia. 

La sintesi che nasce a seguito di questo incontro/scontro è l’amore. È chiaro che per Sion Sono essere esposti all’amore vuol dire anche essere esposti al dolore. Per fare l’amore bisogna accettare la guerra.

TECNICA E STILE

Ripeto, Sion Sono non è un cineasta. Gli interessa il cinema come mezzo e non come fine, quindi, in Love Exposure la tecnica è solo strettamente necessaria per essere al  servizio del suo racconto. Così come i vari registri stilistici e di genere: Una commedia incredibilmente efficace (difficile non ridere di gusto nella parte dell’addestramento del tosatsu), L’azione sempre leggibile e intrecciata al grottesco, il dramma e il sentimentale che si sovrappongono fino a capitolare nel finale, che forse, insieme a quello di 8 e mezzo di Fellini, è il più magnificamente catartico della storia del cinema.

  • Voto Complessivo - 100

CONSIDERAZIONI FINALE

La grande opera di Sion Sono, in quattro ore di film riesce a non stancare mai, trattando lo stato antropologico dell’uomo nel ventunesimo secolo con la sincerità che solo i poeti sanno donare al mondo. L’estasi dello spettatore, messo inevitabilmente in discussione lungo tutto il tragitto, si depositerà dopo giorni lasciandolo, senza dubbio, cambiato.

Overall
100
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