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Sviluppo di videogiochi: intervista a Yumero

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Yumero the taleteller è uno dei tantissimi piccoli sviluppatori di videogiochi presenti sul suolo italiano. Yumero si distingue per una spiccata sensibilità e traspone il suo vissuto all’interno delle storie rappresentate nei suoi videogiochi. Tra i suoi lavori troviamo The Devil’s Womb, un puzzle RPG horror in cui un piccolo demone senza memorie di nome Luna si sveglierà in un luogo buio e tetro alla ricerca delle verità del suo passato. Per altre informazioni sull’autore vi rimandiamo alla sua pagina: Yumero the Taleteller.
Ci siamo permessi di fargli una piccola intervista.

Ci puoi raccontare come ti è venuto in mente di sviluppare videogiochi?

Prima di tutto volevo ringraziare la redazione di games-galaxy.it per aver ritagliato dello spazio a quest’intervista, e Violet per avermela gentilmente proposta.

Prevalentemente, mi identifico come artista ‘analogico’, preferisco la carta ai programmi di grafica, penna ai sistemi operativi, il teatro ai film e i libri agli audiolibri.

Tenetevi forte, perché potrebbe sembrare molto inusuale come motivazione.

Posso cominciare col dire che un qualsiasi artista prima di essera artista è stato spettatore, che ogni divinità prima di essere divinità, ha dovuto sperimentare almeno una volta la fede e la sofferenza mortale; nello stesso modo non c’è gamedesigner che non sia stato nemmeno una volta nella sua vita un giocatore.

Ciò che accomuna giochi e giocattoli è che l’utente riveste appieno il ruolo di diretto responsabile della loro vita, storia e identità.

E’ proprio terribile, ma allo stesso tempo bellissimo: triste o felice che sia la loro vita, viene concessa loro attraverso l’utilizzo da parte i noi umani.
Senza di noi, senza le nostre fantasia e i dolori che le hanno generate, non esisterebbero neanche quelle delle nostre creazioni. Giocare è un atto d’amore, e l’amore esorcizza l’anima dalla paura.

Per me raccontare le mie storie attraverso i miei giochi equivale a chiudere una pergamena in bottiglia e lasciarla in mare nella speranza che qualcuno la trovi… perché non importa che tu stia dalla parte di chi scrive un’opera o dalla parte di chi la legge: entrambe le parti hanno bisogno di aiuto per sopportare quest’orrendo mondo… e internet garantisce una diffusione su larga scala che il mondo fisico non garantisce.

Non è molto per aiutarli, ma è l’unico modo attraverso cui posso lenire la mia solitudine senza fondo, e allo stesso tempo lenire quella di chi è simile a me.
Ovunque brandisca matita e pennelli non esiste insoddisfazione, perché ho una cosa più importante di qualsiasi altro bene materiale: me stesso.


Hai un videogioco preferito?

Aiuto, questa è una domanda complicata. Ahah!

E’ difficile elencare un videogioco preferito in assoluto, però posso elencare un gioco preferito per Genere.

Da bambino, i miei giochi preferiti erano i Platform.
Sarebbe sacrilego non citare non citare Rayman 2 e 3. Non sono amante del fantasy, a meno che non sia ambientato in mondi di stampo divergente da quello barbaro/medioevale.

Rayman era infatti inusuale, deteneva un worldbuilding semplice, tendente al fairytale, ma stravolto da personaggi robotici e grotteschi come Razor Beard, André.
Ricordo ancora che avevo una paura matta dei Polli zombie. Forse ce l’ho ancora, ahah!

Poi come Genere Action-stealth, La saga di Sly Cooper.
Come Genere Action-shooter, la saga di Ratchet & Clank.

Come First person shooter direi per la narrativa Bioshock, e per il gameplay frenetico DOOM I e II, come atmosfera e gameplay l’horror per Nintendo DS della Renegade Kid Dementium: The Ward.

Come visual novel, la famigerata saga di Ace Attorney, poi Il primo Professor Layton.
Al primo posto tra i videogiochi con una forte narrativa, nessuno tra di quelli che ho giocato supera Hotel Dusk: Room 215. La trama è semplicissima, eppure si svolge in una maniera così stuzzicante e delicata tanto che è stato il gioco che dal punto di vista narrativo mi ha toccato di più.

Sono tanti i giochi che non ho giocato… Metal Gear, Silenti Hill, Resident Evil e tanti altri che non ho mai avuto piacere di giocare. Oggi pure provo molta difficoltà a recuperarli perché non ho la tranquillità e la spensieratezza di prima.

Anche se mi forzassi a giocare, non riuscirei a provare emozioni forti come quelle di un ragazzino: oggigiorno sono molto ansioso, e ho difficoltà a rilassarmi dinnanzi la narrativa di un videogioco.

Speriamo che passi presto… passando tempo su videogiochi online che sì, divertono molto, ma a livello narrativo non conferiscono nulla al giocatore, lasciando il tempo che trovano.

Ci sono degli autori a cui ti ispiri in modo particolare o comunque ammiri?

Non saprei, come ho detto mi sono perso tantissimi titoli interessantissimi.

Oggi gli unici titoli che sembrano veramente interessarmi sono i titoli PS1 e PS2 e qualche indie che valga veramente la pena giocare… per i tripla A, beh… ho gusti difficili e raffinati.
Cioé, come si fa ad odiare Bioshock?

Non credo di essermi ispirato da tanti gamedesigner in particolare, né dai loro giochi.

Unica eccezione… Hidetaka Miyazaki
L’arte mi ha salvato la vita, anche i videogiochi han di conseguenza contribuito; quel capolavorone di Bloodborne ha rappresentato non solo salvezza, ma rinascita.

Non ho analizzato benissimo la Lore, eppure quel poco che ho visto nel complessivo è stato capace di farmi riprendere in mano la vita: ho cominciato a nutrire l’interesse sepolto per la filosofia, teologia, letteratura, classici greci e latini.

Dentro di me si è riaccesa una spiritualità, profondità d’animo e pensiero impossibili da descrivere con linguaggio mortale. Dal momento che non è possibile condividere la visione che ho del cosmo e del concetto di Dio.

A Bloodborne non devo solo la salvezza della mia vita, ma della mia anima.


Cosa vuoi raccontare nelle tue storie?

Ciò che avrei voluto raccontare con altri media come cinema e libri.
Avrei le competenze di realizzare entrambi, ho pensato più volte ma come dire…
…non mi faccio mai venire idee a comando, non ne sarei neppure capace.
Per me questo non è affatto un problema, non solo perché ne avessi la possibilità ci sarebbero tante idee e poca concretezza in merito, ma perché non sarei felice a raccontare ciò che non provo.

Sono romantico ed emotivo, sin da piccolo vedevo la realtà come nessun altro la vedeva, detenevo una sensibilità non comune, ed è proprio per questo che racconto solo ciò che posso comprendere.

Le mie storie raccontano di me NON raccontando di me: le vicende narrate sono tutte opere di fantasia, tuttavia sia eventi che personaggi sono attinti dal mio modo di vedere il mondo e da ciò che ho realmente vissuto.

Quindi difficilmente avrete a che fare con personaggi che non provano quel che ho provato io, che non soffrono quel che ho sofferto io. E quel che mi auguro è che i miei giochi arrivino proprio a persone simili a me. Affinché non si sentano sole.

Com’è il mondo dei piccoli dev?

Dal punto di vista di qualità di lavoro e di vita, molto meglio di tutti quei devs messi in catene presso le industrie tripla A.

E’ un ambito libero, umile, amichevole.
C’è molta gente che ha medio-grandi progetti in serbo. Altra che preferisce fare piccoli e frequenti giochi, proprio come fossero dei piccoli bocconcini da far assaggiare di volta in volta.

Appartengo alla prima categoria, fare giochi brevi e frequenti non mi dispiacerebbe,
tuttavia l’esigenza di trovare una fonte economica affinché io possa mantenere questa libertà creativa a fino alla fine, mi spinge a lavorare a progetti particolarmente importanti e che siano capaci di farmi entrare un qualcosina con cui campare fino al prossimo titolo.
L’alternativa sarebbe fare un lavoro che non mi piace, e sarebbe troppo triste per me.

Le mie più grandi paure non consistono nel vivere momenti di grande sofferenza, ma di andare in contro a determinate condizioni per cui non sarò più capace di dedicare il mio tempo a ciò che amo. Per me, morte sarebbe anche lavorare in un’industria tripla A: dopo otto ore trascorse a lavorare al gioco di qualcun altro…
dove trovo tempo ed energie per le mie storie?

Qual è il tuo momento preferito nello sviluppare da zero un videogioco?

La fase di design e programmazione delle meccaniche base. al secondo posto del podio creare assets 2D, al terzo l’IA e fuori dal podio la modellazione 3D.Anni fa modellavo 3D, facevo modelli discreti, continuando sarei diventato pure bravo. Ora mi sono messo con la programmazione – che odio ancora di più, sì – ma considerando che è possibile avere un riscontro immediato del frutto del proprio lavoro giusto avviando la simulazione nell’engine, l’agonia di programmare è adeguatamente ricompensata.

Fossi capace di fare multitasking, sarebbe veramente soddisfacente. Ma saprete che il cervello umano non ne è capace, infatti già provarci fa tendere al burnout.

Entrare in burnout è molto facile per i dev.
E’ stato grazie a una gamedev’ coach che ho appreso a apprezzare i miei obiettivi, a ricompensarli, ed essere positivo.

Ci sono dei consigli che vorresti dare ad altre persone con il tuo stesso sogno?

E’ molto facile iniziare a interessarsi al dev, per poi rendersi conto che non si hanno le giuste competenze e, di conseguenza, cadere nell’abisso.

1. Prima cosa, siate quindi pazienti: a differenza di come la TV o la società ci porta a pensare, non siamo tutti uguali.
Non solo. L’intelligenza non è una, ma è relativa in un determinato ambito.

Alle menti più logiche, sarà facile apprendere un engine in neanche un anno, ma mancano di altre skill. Altri, al contrario, detengono menti più tendenti all’immaginazione, creatività… questi impiegheranno molto più tempo a capire anche come funziona un semplice costrutto ‘if’. Le persone che falliscono, falliscono perché perdono fiducia in loro troppo presto. Ignorando che la ragione per cui non riescono, non è la mancanza di potenziale. Bensì il non accettare che abbiano un loro tempo di maturazione.

Io ho impiegato 15 anni a ragionare con la logica, ho dovuto fallire più di 100 giochi prima di pubblicarne tre, e al quarto ci sto ancora lavorando… da quasi 12 anni).
Rispettate quindi i vostri tempi di apprendimento e maturazione.

2. Imparare l’inglese
il minimo indispensabile da comprederlo e sapervi spiegare in maniera comprensibile. Ciò vi aiuterà nei forum di ufficiali nel caso in cui riscontraste un problema.

Non solo, ma anche per acculturarvi. Ci sono parecchi canali che parlano di gamedev in ogni ambito. E purtroppo (o anche per fortuna) non sono in lingua italiana… Quindi, vi invito a mettere in dubbio l’utilità dei canali di infotainment, soprattutto quelli italiani (molto spesso; quasi sempre sciocchi e abbastanza disinformativi… poco educativi insomma)

3. Attenti a come spendete i vostri soldi: i corsi privati costano tantissimo e sono per lo più orientati a creare lavoratori da industria.
Parte degli stessi soldoni che versate alle queste scuole private, viene infatti riciclata dalle stesse per “raccomandarvi” a grandi case.

Se questo non è il vostro obiettivo, e volete vivere il piacere di lavorare i vostri giochi, beh… internet è vostro amico. Ci sono tutorial su ogni cosa ormai, e qui rimarco l’importanza dell’inglese. L’unica pecca è il rapporto passivo dei tutorial: non avendo un rapporto con un tutor, non capirete esattamente se quel che fate è buono o no.

4. In caso delle accademie private, però EVITATE A TUTTI I COSTI I CORSI TRUFFA!
Il sottoscritto è cascato in un trappolone vergognoso. Ho speso tantissimi soldi che avrebbero benissimo potuto retribuire un mio progetto… invece sono finiti in mano a gente vergognosa che lucra sui sogni dei creativi; cioé, ho studiato 3 anni in un presunto corso di ‘Laurea in videogiochi’ per poi ritrovarmi senza esperienza: i prof ci facevano studiare dai loro libri… per colpa loro, e della mia ingenuità da ragazzino deficiente che ero, sto ancora studiando tanti libri di gamedesign…

Considerate quindi di laurearvi una facoltà che non ha a che fare con i videogiochi.
Ciò che studierete, potrebbe infatti rivelarsi utile per i vostri progetti!
Esempio? Axel Fox, una gamedesigner italiana.
Lei ha lavato per anni scale per potersi mantenere gli studi in psicologia, senza i quali, non avrebbe MAI potuto creare un gioco come Freud’s bones (dove la meccanica principale e saper psicoanalizzare i pazienti curandoli dai loro disturbi). Riflettete su ciò.

5. Amate ciò che fate SEMPRE. Non fatelo perché sognate fama e successo; sognare fama e successo è da persone mediocri: tutte troppo impegnati di desiderare ciò che non hanno invece di lavorare sul proprio benessere su ciò che già posseggono.
Come ribadisco sempre, la felicità non è un obiettivo da raggiungere.
Chi reputa la felicità un obiettivo da raggiungere non sarà mai felice. Poiché una volta raggiunta si consumerà molto più velocemente di quanto si riduce in cenere un fiammifero.

La felicità è uno stile di vita.
Non devo raggiungerla. La sto vivendo appieno. Di conseguenza è ora questo benessere a spingermi a lavorare, non più necessità di puro egocentrismo di cui sono stato vittima in adolescenza. Perché è proprio in adolescenza che ci viene inculcato la depravata convinzione che la felicità va raggiunta, e con questa convinzione lo stramaledetto concetto di ‘culto della persona’.

Amate quindi ciò che fate, ma prima ancora di quello, imparate a voler bene voi stessi: i vostri sogni diverranno realtà come meritata conseguenza di aver appreso la skill più difficile di tutte, considerando quando il mondo lo stia rendendo estremamente difficile: amare se stessi e la vita.



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