Si chiama Mercoledì ma è nata di venerdì 13

0

Il nome Addams, si sapeva, prima o poi doveva tornare; troppo è il valore sopito che questa famiglia è riuscita a incanalare nel corso del tempo. Alla piccola Mercoledì di un’immensa Jenna Ortega, sapientemente guidata dalle mani del maestro Tim Burton, l’arduo compito di risvegliarlo.

Il palcoscenico di Mercoledì è nientemeno che Nevermore, l’accademia per reietti che ospita e istruisce rifiuti della società di ogni genere e forma, un’accozzaglia di strambi e mostri di vario genere, tutti ugualmente dotati di cuore, e soprattutto di sentimenti ed emozioni tipici degli adolescenti; insomma, gli ingredienti perfetti per una macedonia di perbenismo spicciolo, atta a veicolare verso la quarta parete messaggi e richiami di accettazione per il diverso, genuinità di pensiero, e altre “quotes arcobaleno” perfette per i cartelloni dei figli dei fiori. Un palcoscenico che non poteva essere migliore di questo, a cominciare da Enid, la colorata compagna di stanza della nostra “Trappola Mortale” preferita.

Enid Sinclair e Mercoledì Addams

Il racconto manifesta un intricato mistero da svelare, un mistero che sembra coinvolgere la tenebrosa ragazza e la sua scuola, anzi la comunità di reietti per intero, una vendetta da consumare a cui Mercoledì pare essere estranea, seppur sia proprio lei a non riuscire a trattenersi dal farsi avvolgere nelle spire dell’ignoto. Le tinte gotiche e generalmente “ironico-raccapriccianti” tipiche della macabra famiglia Addams e del maestro Burton (non esiste matrimonio migliore) accompagnano la narrazione senza finire col divenire fini a sé stesse, quasi evocate dalla sola presenza della truce Mercoledì; e se mai si manifesterà un eccessivo tasso di zucchero non mancherà un bagno di sangue a ripulire il tutto, con immensa compiacenza della tetra Mercoledì.

Impossibile non partire proprio da lei: Jenna Ortega. Ha raccolto il testimone della geniale Christina Ricci, non proprio una qualsiasi, e l’ha fatto regalando una delle interpretazioni più meticolose e raffinate che la storia del piccolo schermo possa ricordare. Quasi superfluo riconoscere che il titolo non avrebbe avuto lo stesso valore senza di lei, che è riuscita a vestire i panni dell’adolescente Mercoledì in maniera sublime. Ha incanalato nella sua interpretazione il grottesco sadismo che tanto fu amato nella sua versione anni ’90; una Mercoledì Addams che sembra le sia stata cucita addosso, a cominciare dalla velata e drammatica ironia che avvolge le risposte con cui schernisce e zittisce qualsiasi interlocutore le si pari davanti, per finire con quello sguardo freddo e penetrante, quasi magnetico, ma affilato come un coltello, a cui è impossibile resistere, ma anche sopravvivere.

Si potrebbero spendere decine di pagine su di lei e comunque non sarebbero abbastanza. Perché questa sua interpretazione non solo ha reso immenso onore al suo iconico personaggio, se ne è inesorabilmente, spontaneamente appropriata, l’ha fatto suo quasi a emulare un processo del tutto naturale, proprio come fu per la Ricci a suo tempo. Differentemente dalla sua predecessora, l’inserimento della Mercoledì 2.0 di Jenna, ha avuto la fortuna di scontrarsi con l’epoca moderna, e ciò ha reso il titolo decisamente calzante. Questo perché Mercoledì non è allergica solo al colore, ma anche ad ogni altra forma di socialità e dimostrazione d’amore e d’affetto. La affascinano la scrittura, il violoncello, la scherma, l’horror, gli scorpioni, i ragni, le morti cruente, la vendetta, il sadismo, le armi, il sangue, e tutto ciò che possa in qualche modo essere accostato al dolore e alla tristezza. Si tratta di elementi che l’epoca moderna sta lentamente e inesorabilmente demonizzando, in una lotta ad un nemico invisibile mai realmente esistito per come viene ad oggi dipinto, discostando pericolosamente la visione di chi osserva dal fuoco della verità. Ciò ci regala un netto e perfetto contrasto tra l’oscurità che emana e avvolge la figura della “Vipera di papà”, e il più o meno colorato resto del mondo, a cominciare dalla sua vivacissima e sempre sorridente e felice compagna di stanza Enid.

Nel paradigma della Nevermore, Mercoledì risalta e lo fa proprio perché Mercoledì vorremmo essere tutti noi nella nostra Nevermore personale: un’identità propria ed unica, concretamente disgiunta dal mero conformismo anticonformista che attanaglia l’epoca corrente, dove tutto può e deve essere diverso, lasciando ai posteri l’ardua sentenza circa il fatto che se siamo tutti diversi, significa che siamo tutti uguali. Ma per essere Mercoledì ci vuole coraggio, e non solo. Essere forti, per certi versi, significa essere soli. Mercoledì ha il pregio di risaltare il grigio che intercorre tra nero e colorato, ponendo in essere la complicità che mette da parte le divergenze in nome del bene comune. Mercoledì ci dice, e lo fa senza giri di parole, che “i social sono un vuoto succhia-anime di affermazioni senza senso”. Chi non l’ha pensato almeno una volta? Alla storia, totalmente Mercoledì-centrica, si aggiungono gli altri componenti della famiglia, riesumati solo parzialmente e per fini prevalentemente narrativi, ma che riescono a brillare di nera luce nei ritagli di tempo a loro concessi, senza strafare. A dir poco splendida Catherine Zeta Jones nei panni di Morticia, nella sua versione da mamma “vicina ma distante”, un po’ meno memorabile il Gomez di Luis Guzmán, esteticamente calato a pennello nel suo ruolo, ma esageratamente sacrificato sul piano contenutistico, malgrado abbia sempre una buona parola per la sua bambina “mezza morta”. Mezze apparizioni invece per Zio Fester e Pugsley, fin troppo funzionalizzati per essere raccontati (ma il tempo è quello che è dopotutto). Nota di merito assoluta per Mano, braccio destro e spalla inseparabile per la scaltra ma impulsiva Mercoledì, va bene essere soli, ma avere una mano non fa mai troppo male.

Enid è indubbiamente la comprimaria meglio riuscita all’interno della storia. E non solo perché è l’unica capace di vomitare (quasi letteralmente) arcobaleni addosso alla macabra Mercoledì, ma soprattutto perché, anche grazie a Emma Myers e al suo fluorescente sorriso, parla lo stesso linguaggio della sua compagna di stanza, quello diretto senza giri di parole, quando serve almeno, l’unico che riesca a raggiungere l’inarrivabile cuore di Mercoledì, che, seppur nero, comunque c’è e per qualcosa deve pur battere. Da scoprire passo passo il resto del cast, che nel complesso merita un voto più che positivo, specialmente una certa Christina Ricci, seppur sia vero che sul copione potevano aver semplicemente scritto “fai maturare la protagonista” e il risultato sarebbe stato grossomodo lo stesso.

Nota dolente è però Nevermore, esageratamente spicciolata sul piano dei contenuti, tanto che se ne si volesse parlare, non si saprebbe cosa scrivere; ha un bel rosone che apre su un terrazzo su cui si può suonare il violoncello, e molto poco altro.

Nota personale, e negativa, la voce narrante. L’analitica Mercoledì non può non parlare a sé stessa. Questa struttura è tipica dei prodotti statunitensi, che lasciano parlare i propri protagonisti al loro pubblico per fini narrativi, ma non potrebbe calzare peggio in questo caso. Sento Mercoledì che mi parla quando avrei voluto solo ascoltare esuberanti e riflessivi monologhi mentali di una Mercoledì che per sua natura si affida quasi sempre solo che a sé stessa.

Mercoledì non è che il primo atto di un’opera che potrebbe avere vita lunga, il biglietto da visita di una pecora nera, che cerca rifugio in un branco di pecore arcobaleno ma che ha tutto ciò che serve per poter brillare di luce propria.

Recensione a cura di SimoSimo_96, mentre Light2021 l’ha solamente impaginata e pubblicata. Grazie Simo!

Iscriviti
Notificami

0 Commenti
Feedback in riga
Vedi tutti i commenti
wpDiscuz
0
0
Facci sapere cosa ne pensi!x
Exit mobile version